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RENZI: "150MILA BANCARI IN MENO IN 10 ANNI". LA RISPOSTA DECISA DELLA FABI E DEI SINDACATI, PRONTI PER LA MOBILITAZIONE, E LE SMENTITE DEL GOVERNO

5/9/2016

 
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La risposta delle Organizzazione Sindacali del credito alle esternazioni del Presidente del Consiglio: "Abbiamo dato prova di grandi capacità  collaborative e concertative per risolvere i problemi del settore. Queste dichiarazioni rischiano, invece, di destabilizzarlo"...
L’affermazione del Presidente del Consiglio Renzi circa la necessità di ridurre, in 10 anni, di 150.000 lavoratori bancari (15.000 all’anno supponiamo), il numero degli addetti nel settore creditizio, merita una sola risposta: Sciopero Generale!!!

Il Premier prima di fare queste dichiarazioni, che rischiano di destabilizzare l’intero settore, aveva l’obbligo di consultare le Parti Sociali (ABI e Sindacati), fare valutazioni di opportunità. La sua analisi si basa invece sul fatto che sua moglie usa lo smartphone invece di recarsi allo sportello bancario. Con il più bieco populismo dichiara che bisogna ridurre gli occupati (ma un Presidente del Consiglio non deve pensare a come incrementare l’occupazione visto anche gli esiti negativi del Jobs Act?), ridurre il numero delle filiali, aggregare le banche e che la politica deve stare fuori da questi processi.
 
Affermazioni contraddittorie. Infatti ci chiediamo: se la politica deve stare fuori dalle banche (e noi lo affermiamo da sempre) perché il governo deve imporre il numero delle filiali, delle banche, degli addetti? Ma Renzi non ci ha spiegato fino a ieri che “E’ IL MERCATO BELLEZZA”!
 
Invitiamo anche l’ABI a prendere posizione contro queste sconclusionate affermazioni del Premier. Anche perché Renzi deve spiegare a tutti i cittadini, chi pagherà i costi sociali di questa drastica riduzione del personale? Con quali soldi? Con quali strumenti? Oppure Renzi, con le sue esternazioni, vuole invitare i banchieri a licenziare personale, decisione che contrasteremo ferocemente?
 
Ricordiamo al Premier che un suo predecessore (Romano Prodi) alla fine degli anni ‘90 di fronte alle prime avvisaglie della crisi delle banche convocò un tavolo a Palazzo Chigi con le Parti Sociali e che da lì scaturirono soluzioni che ancora oggi hanno una validità fondamentale per il settore e servono da ammortizzatori sociali senza costi per la collettività. Invitiamo il Presidente del Consiglio a parlare di meno e a studiare un po’ di più gli atti parlamentari e gli strumenti fiscali e previdenziali.
 
Ma soprattutto gli consigliamo di stare alla larga da certi finanzieri d’assalto, con residenza all’estero, che probabilmente lo mal consigliano.
 
Il Sindacato del credito ha dato prova di grandi capacità elaborative, costruttive e concertative per la risoluzione dei problemi del settore. Ciò è dimostrato da una contrattazione tra le parti che ha portato negli ultimi 10 anni ad esodi volontari tramite il Fondo di sostegno al reddito di circa 50.000 lavoratori e l’appoggio dato alle fusioni annunciate. A differenza delle affermazioni del Premier attraverso il nostro Fondo per l’Occupazione, finanziato dai lavoratori, abbiamo creato, in questi ultimi 4 anni, oltre 12.000 posti di lavoro in più.
 
Ma oggi il piatto è colmo. Non si può più accettare che un Presidente del Consiglio si ostini sistematicamente a stimolare tagli di personale per accreditarsi quei poteri forti che lo hanno sostenuto.
 
Nei prossimi giorni i nostri Uffici Studi produrranno documentazione che contestano e contraddicono quanto affermato dal Premier sia sul numero delle filiali che del numero delle banche in relazione al mercato europeo, soprattutto, sul costo del personale e sui trattamenti fiscali e gli oneri pubblici abbondantemente disallineati con quelli pagati dalle altre banche europee. Dati, tra l’altro, che saranno molto simili a quelli presentati dal Presidente ABI Patuelli lo scorso luglio.
 
Se il Presidente del Consiglio non convocherà immediatamente le Parti Sociali, inizierà una contrapposizione e una mobilitazione totale da parte del Sindacato del credito per la difesa dei posti di lavoro e della dignità professionale delle lavoratrici e dei lavoratori.

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